un viaggio nelle tradizioni musicali ebraiche per il canto del Libro dei Salmi
con Enrico Fink (voce, voce recitante, flauto)
Marcella Carboni (arpa)
Arlo Bigazzi (basso)
Massimiliano Dragoni (salterio, percussioni)
Alla scoperta dei Salmi di David, delle parole che hanno commosso per secoli fedeli di tutte le religioni e della musica nata per accompagnare l’originale testo ebraico (dalle comunità ebraiche italiane al mondo dei mistici est Europei, fino al mondo dell’ebraismo americano passando per Israele e la musica degli ebrei d’India).
“L’onda di piena alleluiatica e sonora avanza verso il Tempio abolito rovesciandosi sull’incolmabile vuoto che ha lasciato, investe d’echi fortissimi la conca sterminata che la sua provvida sparizione ha prodotto. Vittorioso di ogni morte, resterà sul naufragio umano, su questa ripetuta e fatale perdizione nostra in un traboccare di segni, il canto che li adunava, scolpiva, tratteneva, avventava.”
Così Guido Ceronetti scrive in nota alla sua traduzione dell’ultimo salmo del sefer tehillim, il salmo 150. L’immagine mi ha sempre colpito: si riferisce evidentemente all’elenco di strumenti musicali che compare, con ritmo incalzante, nel salmo: “sia la lode del corno rimbombante, laudatelo con la cetra e con la viola… coi tamburi e con le danza… coi liuti e la ribeca… con timpani strepenti… con cembali trionfali…” (sempre in traduzione di Ceronetti, Il Libro dei Salmi, Adelphi 1985). Sono gli strumenti che accompagnavano la funzione nel distrutto Tempio di Gerusalemme, quegli stessi strumenti che sono l’unica indicazione rimastaci per intuire qualcosa di come dovesse risuonare la musica perduta di quel culto: l’originale, archetipica “musica ebraica” di cui, come hanno sognato tanti ricercatori e studiosi, da A.Z. Idelsohn al “nostro” Leo Levi, ascoltiamo ancora oggi le tracce nelle mille tradizioni musicali degli ebrei sparsi per il pianeta. Così, nella fortunata immagine di Ceronetti l’eco “alleluiatico” di quella musica va a riempire il vuoto lasciato dalla sparizione del Tempio stesso (la “provvida” sparizione, come dice non senza una certa arroganza modernista: provvida perché, nonostante sia la disgrazia prima e suprema nella storia ebraica, è l’evento che ha dato al mondo la storia ebraica della della diaspora, la cultura ebraica dell’esilio). Ma è chiaro che quell’ “onda alleluiatica e sonora” si compone non soltanto della musica evocata dal salmo 150, ma da tutte quelle musiche che nella diaspora hanno germinato e si sono sviluppate per secoli fino ai giorni nostri; e insieme da tutto il canto dell’intero libro dei salmi, chiamato a rappresentare tutta la grande costruzione successiva dell’ebraismo, la “cattedrale nel tempo” che (secondo un’immagine cara al grande Rav A.J. Heschel) si è sostituita al Tempio nello spazio.
Dicevo, l’immagine mi ha sempre colpito. E ha dato forma a questo progetto musicale: rappresentare in un concerto l’intero libro, dare una lettura musicale capace di evocare quella tensione di dialogo fra l’umano e il divino di cui sono fatti i salmi. Così si è scelto di ridurre gli strumenti all’essenziale: la voce, ovviamente, e le due anime strumentali che attraversano la musica dai tempi di David ai giorni nostri, ovvero le corde del kinnor – che nei secoli ha significato un’intera famiglia di strumenti, dalla lira al violino, ma che è spesso pensato come “l’arpa di David” – e il fiato che attraversa il flauto, come nella simbologia cabalistica il ruach divino attraversa il corpo dell’uomo. E la scelta delle musiche: un viaggio nelle tradizioni che il mondo ebraico ha reinventato nei secoli per il canto dei salmi. Dalle antiche cantillazioni italiane alle composizioni dei rebbe chassidici di Motzitz nel primo novecento, dalla tradizione immaginifica dei Bené Israel, gli ebrei di Bombay, alla moderna evoluzione del misticismo in musica con le melodie di Shlomo Carlebach.